GASTRONOMIA MARCHE

SCOPRI I PIATTI DELLA REGIONE MARCHE

Gastronomia Marche, i piatti tipici della Regione Marche. Dallo Stoccafisso all’anconentana alle olive all’ascolana, al brodetto. Tanti piatti tipici da gustare

I NUMEROSI PIATTI MARCHIGIANI

Le Marche sono una regione all’infinito anche nell’enogastronomia. Lascia che a parlare delle Marche siano proprio i piatti ed i prodotti che la contraddistinguono! Sono ben 150 i prodotti rinocosciuti che raccontano le tradizioni marchigiane a partire dalle materie prime di alta qualità

Santa Maria Nuova Borgo delle Marche Ancona Marchigiano centro storico

la gastronomia DELLA REGIONE MARCHE

Una storia di prodotti tipici locali

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Gastronomia Marche: la semplicità e la genuinità di prodotti e preparazioni ti stupiranno racchiudendo in ogni boccone il connubio perfetto di tutto ciò che è stato e di tutto ciò che semplicemente continua ad essere.

Le Marche vantano una tradizione culinaria radicata nella storia e nelle antiche usanze familiari di contadini e operai, ma anche nobili. L’innovazione di oggi si insidia nelle profonde radici della tradizione regalandoci esperienze indimenticabili. Esplorare le Marche significa anche gettarsi in un viaggio sensoriale di sapori unici che racchiudono storie ed esperienze.

LE MARCHE: UNA REGIONE CHE CI REGALA TUTTO

Potremo perderci parlando delle spettacolari paesaggistiche marchigiane, proprio perchè di tutti i migliori scenari sono caratterizzate le Marche: dolci colline e piccole pianure che ospitano incantevoli vigneti e uliveti, maestose montagne e romantiche spiagge.

LE DELIZIE DEL MARE

 

Gastronomia Marche: il mare Adriatico dona alle Marche un tesoro di sapori marini, che si riflette nei piatti locali. I pesci freschi e i frutti di mare diventano protagonisti di delizie che conquistano anche i palati più esigenti. Ecco alcuni esempi delle lecornie più conosciute:

1. Brodetto di pesce: una zuppa di pesce con i protagonisti più svariati (seppie, scampi, pesce di mare spinarolo, canocchie, nasello, triglie, calamari, gamberi, gallinella, sogliola). Originaria di Fano, ma estesa in tutta la riviera del Conero. Nasce come piatto di “recupero” di ciò che avanzava ai pescatori dopo il mercato, ora invece lo si trova nei migliori ristoranti . Se è vero che il brodetto è lo scrigno di tutte le golosità marine della regione, è anche vero che è una delle ricette più discusse in quanto ogni paesino ha la propria versione. Molti marinai utilizzano ancora un mattone poroso preso dalla spiaggia per insaporire il brodetto senza il bisogno di aggiungere sale o altri insaporitori.

2. Alici scottadito: Un secondo di pesce sfizioso, un po’ come le ciliegie una tira l’altra. Originarie di San Benedetto del Tronto si trattano di piccoli pesci cotti con un impasto di molliche di pane, prezzemolo e olio, ma proprio come il brodetto ognuno ha una ricetta tutta sua. Gli stessi marinai conservano con sè la ricetta che le loro famiglie hanno tramandato alle nuove generazioni dalla barca fino ad arrivare nelle nostre tavole. Ad oggi le troviamo sia nei piatti gourmet dei ristoranti che nelle case dei marchigiani con chef altrettanto scrupolosi (parliamo di tutte le nonne, grandissima risorsa della tradizione delle Marche).

3. Stoccafisso all’anconetana: Uno dei simboli del capoluogo della regione. Si pensa sia proprio questo piatto uno dei motivi per cui esiste una forte connessione enogastronomica tra Italia e Norvegia: l’arcipelago norvegese delle isole Lofoten è il più grande produttore di stoccafisso al mondo e l’Italia ,invece, il più grande importatore (circa il 90% della produzione). Lo stoccafisso, protagonista del nostro piatto, viene conservato per essiccazione. Ore ed ore prima della preparazione del piatto tipico marchigiano, il merluzzo essiccato viene “rigenerato” con acqua corrente. Una volta pronto viene cotto in una pentola con patate, pomodoro, rosmarino, trito di carote, sedano e cipolla, aglio, olio e vino bianco per sfumare. Ed è così che ingredienti così semplici danno origine ad una colonna portante della tradizione costiera dell’unica regione al plurale, regalando ai degustatori un’insieme di sapori inconfondibili ed indimenticabili. Provare per credere, del resto contano i fatti e non le parole “A discóre n’è fadíga” (È facile parlare, non comporta alcuna fatica. Più difficile, purtroppo, è fare realmente le cose) come dicono gli anconetani perchè tanto lo stoccafisso all’anconitana è super di suo, “A l’è cume a l’è” (è come è).

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I TESORI DELLE COLLINE

 

I prodotti tipici della regione sono la testimonianza dell’arte dell’agricoltura e dell’allevamento. Il duro lavoro degli agricoltori viene addolcito dalla bellezza di colline e pianure e dalla consapevolezza che verranno ripagati da una bontà sublime di prodotti di eccellezza. Eccone alcuni esempi:

1. Olive all’ascolana: finger food per antonomasia subito dopo le patatine fritte, immancabile nelle tavole di ricorrenze, feste e aperitivi o semplicemente nel mix di frittini che ordiniamo mentre aspettiamo la nostra pizza al ristorante. Le olive da sempre ci accompagnano così come hanno accompagnato i nostri antenati prima di noi. Sì , perchè la loro storia inizia molti secoli fa quando i legionali marciavano partendo da Roma verso il Mar Adriatico passando tra lunghe distese di uliveti e di depositi di sale. Fu proprio durante una di queste marcie, caratterizzata da forti piogge che riempirono d’acqua i depositi di sale e causarono la caduta delle olive al loro interno, che i soldati si accorsero che le olive mantenute in questa “salamoia” duravano più a lungo; decisero quindi di utilizzare questa tecnica per conservare gli alimenti che andavano consumati durante il viaggio. In particolare, venivano consumate le olive grazie alla quantità, alla loro forma e grandezza che le rendevano facili da trasportare. Nel tempo le olive entrarono a far parte delle nostre tavole come un vero e proprio piatto. La svolta fu ad Ascoli Piceno, luogo di origine delle olive all’ascolana come le conosciamo oggi, dove i cuochi delle nobili famiglie ascolane decisero di denocciolarle e riempirle di un impasto di carne, pan grattato e aromi. Questa idea fu pensata per non sprecare la carne (bene prezioso,ma abbondante nelle case nobili) avanzata dai precedenti banchetti. Ad oggi l’oliva Ascolana del Piceno è un’eccellenza certificata dalla DOP, così da preservare l’autenticità delle materie prime del territorio e la ricetta originale. L’unica oliva concessa per questa preparazione è l’oliva tenera del territorio ascolano. Il successo di questo prodotto tipico marchigiano ha portato a repliche in tutto il mondo con ingredienti non autentici. Il consumo e la produzione così impotante delle olive all’ascolana porta il mondo ad utilizzare ingredienti meno costosi e ricette con quantità non esatte (più pan grattato per diminuire la carne ed abbassate il costo delle materie prime ad esempio). Per questo motivo è davvero importante tornare alle origini, perchè le Marche possono regalarti qualcosa di autentico, genuino e semplicemente perfetto. Quante olive panate ripiene di carne hai mangiato nei tuoi pasti? Quante di queste erano Olive Ascolane del Piceno? Pensiamo sia arrivato il tempo di rimediare venendo a scoprire il sapore originale!

2. Casciotta d’Urbino: il formaggio che ha conquistato il palato di molti ed il cuore di tanti. Si tratta di un formaggio originario della città d’Urbino che racchiude in sè tutta la maestria della civiltà pastorale di un tempo. Questo è uno dei prodotti caseari più antichi d’Italia, alcuni scritti lo rimandano all’epoca sannitica (IV sec. a.C.). La Casciotta è uno dei primi risultati enogastronomici ad ottene la DOP per salvaguardare l’autenticità del territorio. L’attenzione e la cura nella preparazione di questo formaggio inizia proprio dal pascolo del bestiame: la “meta più ambita” nel XVI sec. era la valle del Metauro che donava al pascolo le favorevoli temperature, ricche sorgenti ed un’alta qualità del foraggio. Tale informazione giunge a noi grazie a documenti che riportavano dei pagamenti avvenuti per avere la libertà di pascolo in quelle zone. Saranno i duchi di Montefeltro e delle Rovere ad aiutare a preservare l’autenticità di questo prodotto dimezzando i costi per il transito del pascolo ovino nei loro territori e delle tasse sulla produzione del formaggio. L’attenzione al territorio, in particolare all’utilizzo di soli ingredienti locali, si è così consolidata nel tempo, continuando a regalarci ancora oggi la semplicità marchigiana in una bontà rotonda. La Casciotta d’Urbino ha questa peculiarità della forma rotonda e bombata dovuta dagli stampi della tradizione in terracotta, vimini o ceramica anche se per questioni d’igiene oggi si suggerisce e si abbraccia l’innovazione con l’utilizzo della plastica. All’esterno presenta una crosta morbida e sottile di color paglierino, mentre all’interno troviamo una pasta morbida, abbastanza elastica ed untuosa con una lieve occhiatura irregolare. Questa “ruota” di piacere è il risultato della miscelazione di latte ovino (70-80%) e di latte vaccino in una breve stagionatura tra i 20 ed i 30 giorni ad una temperatura di 10-12°. Questo simbolo della tradizione dal gusto di latte fresco, lievemente acidulo e dal profumo aromatico quasi erboso, fece innamorare Michelangelo tanto che pagò dei territori marchigiani destinati alla personale produzione di casciotta. L’artista trovava così sorprendente questo formaggio che molto spesso lo inviava anche alla sua consorte Cornelia Colonnelli, così come è riportato nelle epistole tra i due, in cui il “cascio di guaime” (così chiamato all’epoca) viene citato più e più volte. Già in quei tempi si parla di “cascio” e non di “cacio”, poichè si dice che un impiegato ministeriale abbia sbagliato a scrivere aggiungendo una “s” di troppo e cambiando per sempre il nome del prodotto rendendolo ancora più unico.

3. Salame di Fabriano: se associ Fabriano alla sola produzione di carta, diremo che ti sei perso un tassello molto goloso ed importante della città. Se da una parte abbiamo l’importanza industriale della produzione di carta ed elettrodomestici, dall’altra abbiamo un’eccellenza enogastronomica consolidata negli anni. Stiamo parlando del salame di Fabriano la cui storia e tradizione viene custodita da una 25ina di piccole aziende fabrianesi. Un presidio Slow Food che, per il momento, non aspira alla DOP per motivi di produzione: “Stiamo bene così” queste sono le semplici parole con cui rispondono le aziende. L’autenticità del prodotto e la scrupolosità della preparazione secondo disciplinare viene comunque garantita dal Consorzio per la tutela e la produzione del Salame di Fabriano. La storia di questo insaccato è davvero poco conosciuta se non fosse per due date che ne incidono il suo grande apprezzamento:

  • 1877, l’intellettuale marchigiano Oreste Marcoaldi riporta la sua opinione con queste parole: “Il salame è una specialità fabrianese come di Bologna è la mortadella e di Modena è lo zampone”.
  • 22 Aprile 1881, Garibaldi scrive di pugno una lettera per ringraziare l’ufficiale fabrianese Benigno Bigonzetti dei salami inviati.

    I maiali utilizzati per questa produzione in passato erano del tipico colore scuro provenienti da razze autoctone dell’entroterra marchigiano. Ad oggi questo insaccato viene prodotto con razze scure e bianche purchè nate e cresciute nel territorio dell’Appennino umbro-marchigiano. Dei suini si prendono le parti migliori delle parti più pregiate: la spalla (il fiocco), la coscia ed il lardo (della schiena) che viene aggiunto solo prima dell’insaccatura. A queste parti macinate vengono aggiunti pepe, sale e vino bianco. Ad impasto pronto si procede all’insaccatura in un budello naturale e vengono lasciati a riposare per 2-3 giorni in locali riscaldati. Vengono infine spostati in celle di maturazione per 50-60 giorni. Il prodotto migliore lo si ha dopo 4 mesi di stagionatura. Un prodotto tutto da scoprire velato da un piccolo strato di muffa dal colore marrone scuro che ne racconta la stagionatura. Laciati inebriare dal sapore dolce a tratti affumicato e persistente di questo salame, del resto “A Fabriano non esiste il prosciutto perché con il prosciutto ci si fa il salame” (vecchio detto popolare).

DALL’ALTO DELLE MONTAGNE ALLE NOSTRE TAVOLE

 

Gastronomia Marche: le Marche si intrecciano con l’Appennino italiano regalandoci non solo paesaggi mozzafiato, ma anche esperienze culinarie che raccontano la semplicità della bella vita montana. Di seguito alcuni prodotti tutti da scoprire:

1. Ciauscolo: il salame talmente morbido da essere spalmabile. Questa consistenza cremosa è dovuta alla sua macinatura omogenea e fine e al grasso distribuito in maniera uniforme. Le prime tracce di questo prodotto marchigiano possiamo trovarle a partire dal XVIII sec. nelle zone rurali montane lungo l’Appennino ma anche nella zona litorale. Il nome sembrerebbe provenire dalla parola latina “ciabusculum” che significa “spuntino”, infatti, il ciauscolo veniva mangiato prevalentemente nelle pause pomeridiane sotto l’ombra degli alberi delle campagne. Per questo motivo bisogna avere chiara la differenza tra “ciauscolo” e “ciabuscolo”. Il ciabuscolo era un salame morbido preparato dai contadini per festeggiare la fine del duro operato svolto con la lavorazione del maiale, detto in gergo marchigiano “la pista”. Questo insaccato veniva creato con i rimasugli delle diverse lavorazioni delle carni suine. Possiamo definire il ciabuscolo come l’antenato vicinissimo del ciauscolo che invece viene prodotto utilizzando le parti pregiate del maiale. Ad oggi ritiene la denominazione IGP e, secondo disciplinare, prevede l’utilizzo della pancetta (ad un massimo del 70%), lonza e rifilature del prosciutto ( non superiore del 30%) e della spalla ( ad un massimo del 40%). A queste carni vengono aggiunti sale, pepe nero, aglio e l’aroma di vino bianco e successivamente il budello di suino o ovino per insaccare l’impasto. Gli stessi chefs oggi vanno a riscoprire questo ingrediente dal sapore sapido, dolce ed aromatico allo stesso tempo e lo aggiungono alle loro preparazioni per dare un tocco di tradizione ed unicità. La sua massima espressione , però, rimane sempre mangiandolo così nudo e crudo accompagnato da un crostone di pane. Se si passa nelle Marche non si può andar via senza aver prima fatto uno “spuntino” con questa eccellenza enogastronomica.

2. Crostoli del Montefeltro: nelle Marche non si parla mai solo di pane, ma di moltissime versioni e nomi diversi. Alla base troviamo gli stessi ingredienti poveri, che però, venendo preparati e cotti in modi differenti, danno vita a sapori simili ma diversi tra loro, ognuno con il proprio carattere ben distinto. Ci troviamo a Montefeltro, dove la famosa crescia marchigiana viene chiamata spianata e viene farcita con ricotta e uova. Esiste ancora un’altra variante ancora più saporita: parliamo dei crostoli del Montefeltro. Sono facilmente riconoscibili grazie alla loro pasta sfogliata ed untuosa. Sono parte della categoria PAT (prodotto agroalimentare tradizionale) marchigiana in quanto le loro radici nascono più di tremila anni fa. Il crostolo veniva consumato prima dell’avvento della fermentazione poi, data la sua consistenza lievemente dura, “passò di moda”. Viene riscoperto nel periodo medievale poichè le mogli di soldati e lavoratori avevano bisogno di un prodotto che abbattesse i tempi di lievitazione e che quindi fosse pronto in poco tempo. Dal Medioevo ad oggi, però, qualche usanza è stata persa entrando in disuso. Un tempo si usava preparare il crostolo con gli avanzi degli ingredienti della polenta, ad oggi, invece, si utilizzato materie prime prime povere, ma di alta qualità. Sicuramente questo passo è stato necessario per far arrivare questa ricetta in modo autentico nelle nostre mani senza che si disperdesse. Un’altra usanza che si sta spegnendo, al contrario, riguarda uno dei tratti distintivi del crostolo di Montefeltro. L’usanza di cuocere il crostolo alla brace sulla graticola si sta abbandonando in quanto troppo “faticosa”, lunga e poco pratica per quanto riguardano sagre e fiere, dove viene sostituita dalla cottura sulla piastra. Alcuni ristoranti scelgono di sostituire il nome “crostolo” con “piadina” per renderlo più facilmente comprensibile ai turisti. La differenza tra piadine e crostoli è che in quest’ultimi vengono aggiunti anche formaggio, pepe e uova al mix di farina, sale, acqua e strutto. Per fortuna molti ristoratori continuano a schierarsi dalla parte della demoninazione PAT al fine di portare avanti mantenendo viva questa tradizione culinaria marchigiana. Sicuramente questo prodotto , assieme a tutte le altre varianti esistenti nella regione, rendono ancora più uniche le Marche. Anche quando si parla “solo di pane” i marchigiani sanno mettere il proprio tocco originale e distintivo.

3. Mela rosa dei Monti Sibillini: Per chi è attento alla sana alimentazione proponiamo anche un prodotto del tutto salutare che però non rinuncia al sapore incantevole, zuccherino e acidulo. “I pomi del Picen” così vengono chiamate dal poeta latino Quinto Orazio Flacco. Già conosciute nell’era romana, questa varietà di mele proviene dalla comunità dei Monti sibbilini e dalla comunità montana del Tronto tra i 450 e 900 metri di altitudine. Il Presidio Slow Food, della quale la mela rosa fa parte, ha registrato ben 8 ecotipi diversi di cui si notano piccole differenze di striature e consistenze. Le qualità di questo frutto lo rendono ideale per dolci, torte e confetture. Ciò che la distingue dalla mela di Biancaneve che tutti conosciamo è il suo pendicolo molto corto, la forma piccola, irregolare e leggermente schiacciata. Il colore tipicamente è il verde con striature rosa, giallo aranciato e rosso vino. Questo loro “profilo basso” le rendono meno ricercate a differenza di quelle grandi, uguali tra loro e dai colori sgargianti. La mela rosa un tempo era molto ricercata e preziosa grazie alla loro lunga capacità di conservarsi anche per mesi e mesi. Questi piccoli scrigni dolci e succosi adornano, rendendoli ancora più mozzafiato, gli scenari montani della regione e regalano alle nostre tavole un tocco del tutto unico. “Una mela al giorno toglie il medico di torno” e questo i marchigiani lo sanno bene.

IL LATO DOLCE DELLE MARCHE

 

Gastronomia Marche: si sa, per il dolce c’è sempre spazio! Abbandona l’idea di glasse, ganache e mousse. La maggior parte delle prelibatezze dolci delle Marche sono eccezionali prodotti da forno. Molte delle preparazioni erano destinate a sostituire il pezzo di pane raffermo intinto nel latte la mattina. La colazione che oggi noi sbolognamo con un caffè veloce ed un cornetto industriale, un tempo, faceva da palco scenico a ciambelle, ciambelloni e biscotti di ogni tipo. Questo non toglie la maestrosità di tutti i dolcetti preparati per i giorni di festa e le domeniche in famiglia. Ora, linea e dieta permettendo, andiamo ad vederne qualcuno:

⦁ Cicerchiata: qualcuno potrebbe confondersi con gli struffoli napoletani, in quanto sono molto simili tra loro, ma si trattano di dolci ben distinti. Il nome sembrerebbe venire da “cicerchia”, legume molto utilizzato dai contadini che sta cadendo in disuso. Nella storia di questo dolce ci sono nelle nubi che non ne rendono chiare le origini. Esistono diverse ipotesi sulla nascita di questo prodotto dolciario, alcune che accavallano storie di più regioni assieme. Tuttavia è parte integrante della cultura regionale. Di fatto se si parla di carnevale marchigiano si parla della cicerchiata. Altro non è che un’irresistibile ghirlanda composta da un impasto di uova, zucchero, olio o burro, farina, buccia di limone e liquore. Da questo mix di ingredienti si ricavano tante piccole palline che vengono fritte o cotte al forno. Alla fine si uniscono mandorle e pinoli tritati nella pentola con il miele bello caldo che farà da collante. Una torta che oltre al suo sapore dolce aromatizzato, grazie alla sua forma e consistenza regalerà gioia e festa in qualsiasi tavola.

⦁ Ciambelloni e ciambelle: i marchigiani sono proprio innamorati di questa forma tonda forata al centro. Nella cucina marchigiana ne vediamo di ogni misura, preparazione , profumo e sapore. Per questo riporteremo le più iconiche:

Ciambelle di mosto: un dolce tradizionale del periodo autonnale. L’ingrediente protagonista è il mosto, altro non è che il succo d’uva fresco non ancora fermentato. Non a caso le panetterie ed i fornai riempiono le vetrine con queste delizie dal sapore caldo e autunnale dopo la vendemmia. Al mosto, bene povero ma prezioso, si aggiungono farina, lievito di birra, uova, semi di anice, acqua, olio di semi e zucchero. Spesso capitava che i contadini regalavano il mosto ai fornai nella speranza di ricevere in cambio uno o due filoni o qualche ciambellina proprio con questo ingrediente. Con il mosto ci si preparano anche biscotti e ciambelloni. Pensiamo che questo sia davvero un buon motivo per non rinunciare ad una “scampagnata” nelle Marche anche in autunno per viverne i colori ed i sapori.
⦁ Ciambellone marchigiano: nelle preparazioni dei pranzi della domenica, le nonne non avrebbero mai concesso una tavola senza questo mitico ciambellone. Un tempo era abitudine prepararlo e andarlo a cuocere nel forno a legna del paese, così che poi si sarebbe mantenuto per tutta la settimana. Era “premuroso” tenerne da parte un po’ anche per gli ospiti che potevano presentarsi nelle case con poco preavviso. Veniva consumato anche nei matrimoni e veniva servito con accanto delle creme da abbinare. Solitamente questo ciambellone era anche il primo approccio alla cucina per molti nipotini sotto l’occhio vigile delle nonne. Per questi motivi, ad oggi, questo dolce semplice e genuino fa riaffiorare i ricordi di grandi e piccoli, regalando ancora moltissime nuove emozioni. La sua particolarità è che, oltre a farina, uova, burro, zucchero, latte, lievito (spesso anche un pizzico di bicarbonato) e scorza di limone, si aggiunge anche una tazzina di Mistrà (liquore all’anice tipico delle Marche, una delle aziende più conosciute ad oggi è la Varnelli). La consistenza è simile a quella di un Pan di Spagna, ma rimane sicuramente più corposo. Questa caratteristica fa sì che ogni casa abbia poi il proprio “ingrediente segreto”. Uvetta, gocce di cioccolato… E chi più ne ha più ne metta ; questa ricetta è fatta per potersi sbizzarrire!
⦁ Ciambellone duro marchigiano: una versione alternativa del ciambellone classico che abbiamo descritto sopra. Non fatevi ingannare dal nome, la sua forma non è quella di un ciambellone. Una versione più rustica rispetto il dolce tradizionale che vede alla base all’incirca gli stessi ingredienti. L’impasto, però, viene “steso” in una teglia ed infornato come il filone per fare i cantucci. Anch’esso, un tempo, veniva preparato al fine di mantenersi per tutta la settimana, se non fosse che per la sua forma e consistenza si induriva molto più velocemente… Nulla che un po’ di vino non potesse ammorbidire così come usavano fare i nonni all’interno delle loro case. Ciò che lo rende ancora più goloso è la farcitura che si può mettere volendo nel mezzo creando due panetti di impasto al posto di uno. Crema di cioccolato, marmellate di ogni tipo e poi il tocco finale dato dagli zuccherini e le gocce di cioccolato sparse sopra prima di mettere questa delizia in forno. La sua consistenza facilmente friabile come un biscotto e il suo goloso ripieno risveglia in tutti l’essere bambino. Di fatto quando lo si mangia non si pensa a non lasciare molliche ovunque e non si fa caso se la maglietta si sporca di cioccolato o marmellata, conta solo il sapore genuino, buono, semplice e fragrante che la tradizione marchigiana può regalarti.

Lonza di fico: è chiamato anche lonzino di fico o salame di fico. No, non stiamo parlando di un insaccato, bensì di un dolce dalla forma di salame. Slow Food decide nel 1999 di fargli ottenere un presidio per salvaguardarne anche l’autenticità degli ingredienti come ad esempio i fichi che un tempo nelle campagne marchigiane abbondavano mentre, oggi, sono un bene raro e prezioso. Anche in questa preparazione si aggiunge del Mistrà. Dolce molto versatile in quanto può essere accompagnato ad un formaggio semi stagionato, ad un bicchiere di vino passito o semplicemente si può consumare come un dessert a fine pasto o come abbondante merenda. Un sapore zuccherino insolito tutto da provare.

Fristingo: questo dolce richiama il Natale nelle tavole dei marchigiani. Tanto per confondere le idee possiamo dire che il fristingo è conosciuto anche come frustingo, frustingu, fristingu, frestinghe e altri sinonimi dialettali. Tanti sono i modi di chiamare questo dolce, così come tante sono le ricette che variano di provincia in provincia. Gli ingredienti che tipicamente compongono il fristingo sono dei più svariati: mandorle tostate, uva sultanina, noci, canditi, fichi secchi, liquore all’anice, caffè, cannella, noce moscata, limone, miele, farina di grano tenero, zucchero, mosto cotto, cacao, pan grattato e olio extravergine d’oliva. Evoluzione di un’antica ricetta romana di un pane sostanzioso chiamato “panis picentinus”, il fristingo, ad oggi, è auspicio di ricchezza nelle tavole Natalizie delle Marche proprio per tutta l’abbondanza dei suoi ingredienti. Il confronto dei cambiamenti tra la ricetta originale e quella che conosciamo oggi, raccontano anche le usanze sociali ed enogastronomiche evolutesi nel tempo. Ciò che è rimasto immutato, invece, è il sapore di Natale, di casa, di festa e di benessere. Questi aromi difficili da descrivere anche per un critico culinario ci vengono regalati attraverso questo dolce tipico marchigiano grazie alle mille sfumature dei suoi ingredienti.

⦁ Bostrengo: se credete che il fristingo sia un dolce ancora troppo dietetico eccovi accontentati. Alcuni pensano che il bostrengo sia l’ennesima variante del fristingo, ma secondo noi spicca tra tutti e merita di essere riportato. Si distingue, oltre che nell’utilizzo di farina di castagna e di riso, anche per l’aggiunta di latte, burro e strutto. Questi ingredienti grassi proferiscono al nostro dolce un gusto ancora più goloso ed unico. Anche lui uno dei personaggi del periodo natalizio, in particolare viene preèparato il 10 Dicembre per la festa della Madonna che a Loreto (paesino che ospita la santa casa della vergine Maria e che quindi da tempo rimane una meta religiosa importante) è molto sentita. “Piov e neng, tutt l vecchie fann el bostreng” questo è un piccolo proverbio del luogo.

Scroccafusi: uno dei mille colori del Carnevale della tradizione regionale sono gli scroccafusi. Spesso scambiati con le castagnole (altro dolce tipico marchigiano del periodo di Carnevale). Il nome, che subisce variazioni di paese in paese, vuole ricordare il suono scrocchierello che si sente mangiandoli. La superstizione racconta che se, durante la preparazione, qualcuno entra nella stanza, gli scroccafusi non sarebbero venuti bene. L’unico modo per “annullare” questa profezia sarebbe quello di sputare a terra 3 volte e successivamente passarci sopra con la scarpa. Questo dolcetto di Carnevale ha una doppia cottura in quanto l’impasto va prima lessato e succissevamente fritto o cotto al forno. La preparazione più laboriosa non ferma i marchigiani a prepararli puntualmente ogni anno per potersi poi abbandonare alla bontà di questi dolcetti avvolti in alchermes e zucchero. Gli scroccafusi assumono le forme più svariate, dalle palline alle striscioline fino ad arrivare a delle roselline di impasto… Insomma ognuno ha la propria forma del cuore con cui servirli e mangiarli. Un sapore del tutto marchigiano, anche grazie all’aggiunta di Mistrà all’impasto, tutto da scoprire, festeggiare e condividere con amici e parenti.

⦁ Fave dei morti: ogni festa ha il proprio dolce. Le fave dei morti sono dei dolcetti che si preparano nelle giornate 1 e 2 Novembre per le ricorrenze di Ognissanti e per il “giorno dei morti”. Era usanza prepararle anche prima di un’onoranza funebre per la commemorazione del defunto. Di fatto li si offrivano agli ospiti per colazione prima della funzione in chiesa. Il nome “le fave dei morti” viene da un’antica usanza romana dove si distribuivano delle fave durante il funerale credendo che in esse fosse presente l’anima del defunto. Nelle prime due giornate di Novembre si pensa che i nostri cari ormai defunti si ritrovino a visitare la terra e per questo motivo le fave dei morti, oltre a voler commemorarli, vuole anche essere un modo per accoglierli tra i viventi. Tolta la storia per cui sono conosciuti, questi biscottini dalla forma sferica leggermente schiacciata, possono allietare tutti, persone vive e non. La presenza della mandorla li rende morbidi dentro ma croccanti fuori… Una vera sfiziosità! Colore dorato e consistenza dura e compatta, permetti loro di sprigionare la loro essenza e di farla rimbalzare nelle tue papille gustative: un’esperienza ultraterrena!
Sughetti ( o sciughetti): questo dolce molto simile alla polenta è diffuso in tutta la regione. Ancora una volta vediamo come protagonista il mosto non fermentato. Al mosto vengono aggiunti farina di granoturco, noci, mandorle tostate, pinoli e altra frutta secca. Interessante è il contrasto di sapori tra il dolce acidulo del mosto ed il salato tostato di noci e frutta secca. La consistenza ricorda molto la polenta con un piccolo rimando a quella del budino. Il colore, invece, varia dal giallastro, al verdino fino ad arrivare al violetto; tutto sta nel tipo di mosto che si usa.

 

 

Prodotti da forno degli di nota

Gastronomia Marche: abbiamo visto infiniti impasti marchigiani pieni di zucchero, ma troviamo doveroso poter dare spazio anche ad altri prodotti da forno eccezionali della tradizione regionale. Di fatto basta pensare a tutte le varietà di pane ed a tutti i tipi di crescia. Parliamo anche di migliaia di bruschette e crostini farciti con ogni tipo di ingrediente e sentimento. Il cavallo di battaglia rimane comunque una fettina di pane grigliata con olio, tradotto letteralmente dai nostri poeti contadini ” pà cu l’ojo”. Se vi state chiedendo che tipo di olio viene usato per questa bruschetta la risposta di tutti sarà ” quellu bono”. Se la vostra curiosità è stata accesa, dovreste venire a fare questo pit stop di carboidrati così da capire come mai questa usanza così semplice di pane ed olio persiste nel tempo senza mai tramontare. Ora, però, vogliamo portarvi l’esempio di un altro magnifico e golosissimo prodotto da forno:

Pizza di formaggio: viene chiamata anche “pizza/torta di Pasqua”. La sua forma ricorda molto quella di un panettone, ma la consistenza ed il sapore sono decisamente più compatti. Tipica del periodo pasquale, la pizza di formaggio regala un’esplosione di sapidità grazie al mix di formaggi e spezie conenute in un impasto tenace ma morbido. I latticini protagonisti sono il parmigiano reggiano ed il pecorino grattugiati e a cubetti, è anche vero che, come nel mondo del teatro, le comparse sono delle più svariate ed in ogni casa si ha il proprio formaggio preferito da aggiungere. Eccezionale soprattutto se accompagnata da un buon bicchiere di vino e degli affettati e dalla giusta compagnia con il quale condividerla. Questo panettone salato è convivialità, è famiglia, è festa e bontà!

L’ARTE DELLA PASTA

 

Non esiste regione italiana senza pasta e quella al plurale non è da meno! Le Marche si raccontano anche attraverso i primi piatti che hanno viaggiano nella tradizione e nelle usanze. Pronti a scoprirne qualcuno?

Vincisgrassi: l’imponenza di questo primo piatto non lascia speranza ad un pasto leggero. I vincisgrassi sono gli ospiti d’onore nelle tavole marchigiane per lunghi pranzi domenicali o i grandi giorni di festa. Ogni strato, un passo nel passato, una testimonianza dell’arte culinaria tramandata di madre in figlia. Le sfoglie che compongono i sette strati del piatto sono avvolte da un signor ragù preparato con carne tagliata a pezzi grossolani. Tradizione vuole che si utilizzi anche le rigaglie del pollo per insaporire il sugo. A questa danza di ricchi sapori si aggiunge la morbidezza della besciamella ed il tocco distintivo del parmigiano reggiano. Anche lo stesso nome del piatto racconta frammenti di storia delle Marche. Si pensa infatti che sia il generale austriaco Alfred von Windisch-Graetz, che partecipò ad un assedio nella regione, il personaggio a cui è dedicata la ricetta preparata a dovere da una cuoca anconetana. Un’altra ipotesi, invece, riconduce ad una ricetta molto simile chiamata “princisgrassi” (nel libro la si trova sotto la voce “lasagna in princisgrass”) del cuoco maceratese Antonio Nebbia riportata nel suo ricettario già dalle prime edizioni (1776). I princisgrassi, a differenza della ricetta che ad oggi conosciamo e consumiamo, prevedono l’utilizzo del prosciutto e dei tartufi piuttosto che la besciamella e le rigaglie di pollo. Il tempo e le usanze avrebbero poi portato all’evoluzione che tutt’oggi prepariamo con ragù, besciamella e parmigiano reggiano. Una lasagna caratteristica tutta da assaporare per scoprire il legame profondo tra passato e presente attraverso il linguaggio universale del cibo.

⦁ Maccheroncini di Campofilone: conosciuti anche con il nome di capellini di Campofilone, un particolare tipo di pasta all’uovo che ha ottenuto la demoninazione IGP. Da disciplinare, l’unico liquido consentito per l’impasto sono le uova fresche di gallina con rapporto 10 uova ogni kilo di farina. Si hanno diverse testimonianze della loro presenza nel corso della storia regionale, già a partire dal ‘400 vengono apprezzati e descritti in una corrispondenza dell’Abbazia di Campofilone. Questi piccoli capellini dorati sono oggi riconosciuti in tutto il mondo non solo per la bontà, ma anche per la loro capacità di assorbire il sugo.

⦁ Piconi marchigiani: stiamo parlando di un particolare tipo di raviolo del periodo pasquale. Le versioni sono delle più svariate, le più conosciute sono quelle dolci chiamate anche calcioni. I piconi, al contrario, sono invece salati in quanto all’interno dell’involucro di pasta fresca si trova il formaggio, principalmente pecorino. Interessante è anche l’abbinamento che viene fatto tra formaggio con una nota piccante e, alle volte, zucchero e cannella. La sua forma ricorda i calzoni del sud Italia, mentre il nome dovrebbe rimandare al picchettare come parte finale della preparazione così da chiudere il raviolo. Un buon modo per sbizzarrirsi è quello di abbandonarsi a tutte le sue versioni per un giro culinario pieno di piccole nicchie della tradizione.

ESINO

 

VINI BIANCHI

Esino DOC bianco: questa demoninazione vige dal 1995 al fine di proteggere la produzione di questo determinato prodotto all’interno della specifica zona di Esino. Il Verdicchio è il vitigno utilizzato al 50% per questa bottiglia e la restante metà viene “occupata” dagli altri vitigni marchigiani. Questo vino giallo paglierino è la promessa di poter ritrovare tutta la regione in un calice. Le brezze marine sembrano influenzare bene il vitigno così poi da farci ritrovare quella freschezza anche nei vini. In particolare una bottiglia di Esino DOC bianco mi presenta come un bouquet floreali con sentori fruttati ed infine delle caratteristiche note di mardorla amara sul finale. Un’esperienza della regione a 360° in una chiave fresca, unica, gradevole, armonica e molto piacevole.

Esino DOC bianco frizzante: Se a tutta la freschezza, gli aromi floreali e fruttati e a quel sentore di mandorla amara aggiungessimo delle bollicine? Un successo assicurato! Questo vino frizzante è di buona struttura e d’importante sapidità e ben si sposa a tutti i piatti di pesce della tradizione delle Marche. Questo vino saprà raccontare anche le bellezze naturali della regione come ad esempio il fiume Esino, la cui zona è quella di riferimento nella denominazione DOC.

VINI ROSSI

Esino DOC rosso: e dopo aver visto dorate catenelle di bollicine, passiamo ad un rosso rubino intenso. Questa bottiglia è il risultato dei due vitigni Montepulciano e Sangiovese. Questo tipo di rosso viene associato alla zona di Esino per i  metodi di produzione tipici di quel territorio. Cosa aspettarsi da questo vino? Il suo sapore secco ma dai sentori fruttati sia al naso che alla bocca lo rendono armonico e caratteristico.

Esino DOC rosso novello: un giovane vino DOC Esino rosso rubino piacevole. I suoi aromi ricordano molto la fragranza della crosta di pane fresco. Il suo sapore secco ed armonico lo rendono ideale per portate di carne come arrosti e grigliate e per formaggi stagionati.

VINI SAN GINESIO

VINI ROSSI

San Ginesio DOC rosso: i vitigni Sangiovese (ad un minimo del 50%) e Vernaccia Nera (ad un massimo del 50%) si incontrano per dare vita a questo vino. Anche questo prodotto ha ottenuto una denominazione DOC e la sua zona di riferimento è San Ginesio, comune marchigiano nei Monti Sibillini. Il vino rosso di San Ginesio è un vino delicato, piacevole ed armonico. Rimane un vino lineare in tutte le fasi della degustazione senza sorprese, per questo motivo rimane gradevole al palato di molti. Un vino non adatto a chi ama le scalate delle montagne, ma a chi preferisce godersi la bella vista dalla baita. Se volessimo migliorare questa immagine già perfetta, potremo aggiungere dei formaggi di media stagionatura o delle grigliate o arrosti di carne.

VINI SPUMANTE
San Ginesio DOC spumante dolce: celebriamo i Monti Sibillini con una buona bottiglia di spumante. In particolare parliamo di una delle bottiglie DOC di San Ginesio. Viene prodotta con una grande quantità di uve provenienti dal vitigno Vernaccia Nera. Siamo abituati a vedere lo spumante di un colore giallo paglierino chiaro, ma non è questo il caso. Lo spumante DOC di San Ginesio si contraddistingue per il suo colore rosso rubino intenso e limpido. Le note di questo spumante sono fruttate, in particolare risalta molto la ciliegia, e vegetali, mentre il tocco aromatico lo fa il sentore vinoso che è importante e fine. Degustarlo significa avere un abbraccio dolce, morbido e caldo così come risulta al palato. Potresti decidere di portare a tavola della piccola pasticceria secca, anche se questo spumante si raconta da solo in modo totale. Di fatto è un vino che, grazie alla sua struttura, può essere degustato da solo senza il bisogno di accompagnamenti, anzi assaporarlo nella sua completezza senza altri gusti è la scelta migliore per comprenderlo a pieno.

San Ginesio DOC spumante secco: si sa, un po’ come la disputa tra panettone e pandoro, anche qui troviamo il bivio tra spumante secco e spumante dolce. Ad ognuno i propri gusti, noi per il momento ti portiamo alla scoperta della versione secca. La bottiglia racchiude le uve del vitigno Vernaccia Nera. Il colore delle uve utilizzate si riflette nello spumante rosso rubino intenso con riflessi violacei. Qui, a differenza della versione dolce, la nota vinosa dona un’importante aromacità. I sentori che si contraddistinguono nella complessità di questo spumante sono quelli di frutti rossi e quello di rosa canina. Le bollicine fini danzano in modo persistente in questo spumante. Il sapore logicamente secco rimane caldo e morbido al palato. Ritroviamo nei sapori equilibrati e piacevoli anche una buona freschezza tipica dello spumante. Questa bottiglia è perfeta per gli aperitivi, è infatti adatta anche a salumi e formaggi o piatti di media struttura

MORRO D’ALBA

LACRIMA DI MORRO D’ALBA DOC

Ecco a voi un’altra eccellenza regionale. Il nome Lacrima deriva dalle goccioline trasudate dagli acini d’uva del vitigno. La buccia esterna, anche se spessa, è molto fragile e durante la maturazione spesso accade che si rompa. Le goccioline fuoriescono da queste rotture e somiglierebbero proprio a delle lacrime. Da questa visione romantica nasce questa bottiglia. Un vino semi-aromatico giovane, questo significa che è preferibile consumarlo in tempi brevi vista la sua bassa presenza di tannini, ma al contrario potrebbe stupirti dopo l’invecchiamento. Le note di rose e di viola in un piacevole sfondo di frutti di bosco rimbalzeranno nelle tue papille gustative concedendoti un gusto piacevole, morbido e caratteristico della regione. Ad un vino importante, un importante accompagnamento, ti consigliamo portate di carni come arrosti o grigliate oppure salumi e formaggi di media stagionatura. Regge bene il confronto anche con zuppe di pesce dal sapore deciso. Questo vino ti saprà sussurrare all’orecchio tutte le bellezze del territorio ed i segreti della bella vita dei marchigiani, vieni a scoprirlo nelle nostre cantine!

ZONA DEL METAURO

BIANCHELLO DEL METAURO DOC

A donarci questo prodotto sono i vigneti che si estendono dal Mar Adriatico verso l’interno, lungo le dolci sponde del fiume Metauro. Il vitigno utilizzato è il Biancame per un minimo del 95%, mentre nel restante 5% spesso si ha una leggera contaminazione toscana con l’uso delle uve provenienti dai vigneti di Malvasia. Il basso grado alcolico del Bianchello del Metauro lo rende un vino beverino e decisamente fresco, adatto ad essere sorseggiato nell’arco di tutta la giornata ( ci raccomandiamo, sempre con scrupolo e giudizio). Un profumo fruttato intenso leggermente iodato lo rende ideale nelle lunghe giornate estive, preferibilmente mentre si gode della vista dello spettacolare litorale marchigiano. La grande freschezza si unisce alla buona sapidità appartenente a questo vino così da presentarsi con un corpo equilibrato e piacevole. Il momento migliore per stappare questa bottiglia lo si ha durante aperitivi o in presenza di antipasti di pesce, fritture saporite, carni bianche e piatti non troppo strutturati. Si può dire, però, che questo sia un vino a tutto pasto, pronto ad accompagnarti ogni qualvolta senterai la necessità di un sorso di freschezza marchigiana.

COLLI PESARESI

I colli pesaresi ospitano immense vastità di vigneti formando dei ricchi paesaggi mozzafiato. Grazie allo scrupoloso lavoro dei vinificatori e degli enologi, da queste meravigliose e curate terre, si ricavano più di 25 bottiglie. Queste etichette vengono protette dalla denominazione DOC che vuole salvaguardare il terrirorio e le sue eccellenze. I pensieri, i problemi e le preoccupazioni si dissolvono nello stupore di questi paesaggi, dove il verde delle colline si fa ancora più intenso. Andiamo, un calice alla volta, a scoprire insieme questi rappresentanti della bella vita:
Colli Pesaresi DOC Biancame: un vino che parla del proprio vitigno. Il Biancame viene utilizzato ad un minimo dell’85% in questa bottiglia. Un giallo paglierino dai sentori fruttati e floreali, in particolare fiori bianchi, preannuncia un gusto secco e fresco, piacevole ed armonico. Nessuna sorpresa, è un vino ideale alla routine di tutti i giorni. La sua massima espressione si compie se accompagnato a piatti di pesce, dagli antipasti e dalle zuppe alle grigliate.
Colli Pesaresi DOC bianco: in generale, le bottiglie dei Colli Pesaresi DOC di vini bianchi rispettano quella che sembrerebbe essere la scaletta delle caratteristiche marchigiane per queste bottiglie. Nessuna cosa improvvisata, se si parla di questo vino le caratteristiche son ben note. Gli aromi, che si uniscono in questa impresa coerente color giallo paglierino, sono fruttati e floreali. Il gusto è secco, fresco e decisamente piacevole. L’armonia di questo vino ci racconta la semplicità e la purezza della vita marchigiana, fatta di grandi caratteristiche racchiuse in tante piccole etichette di vino diverse. Come concludere al meglio questo piccolo percorso marchigiano? Abbinando un vino DOC dei Colli Pesaresi bianco alle tipiche prelibatezze marinare della regione.
Colli Pesaresi DOC rosato (o rosè): tra un giallo paglierino ed un rosso rubino intenso troviamo il giusto compromesso. Il rosato dei Colli Pesaresi prevede l’utilizzo del vitigno Sangiovese ad un minimo del 70%. La percentuale alcolica non è alta, rendendo questa bottiglia ideale per antipasti o carni bianche. Lasciati compiacere dal rosa cerasuolo che al naso rimane delicato e vinoso. Anche questo vino rimane coerente allo scenario delle Marche, perciò possiamo definire il suo sapore caratteristico, secco, armonico e fresco. Un rosato delicato da assaporare al fine di regalarsi un momento leggero e di benessere per l’anima.
Colli Pesaresi DOC rosso: eccoci con l’ennesima garanzia delle caratteristiche della regione. Il suo colore è un rosso rubino con lievi riflessi violacei, ereditato dalla lavorazione delle uve del vitigno Sangiovese ad un minimo del 70%. I sentori sono fruttati, in particolare sentiamo ribes, visciole in confettura e more di rovo. Ci sono anche aromi floreali di violetta e garofano e note erbacee sul finale, che poi ritroviamo in parte nel gusto. In bocca risulta equilibrato con una buona presenza di tannini e una buona struttura. Il finale ci regala una fragranza fruttata e speziata tendente al dolce. Tutto da provare assieme a portate di carne come arrosti e grigliate (ad esempio agnello, tagliate di manzo, faraona etc…) e formaggi di media stagionatura.
Colli Pesaresi DOC Sangiovese: a differenza del classico rosso, la percentuale del vitigno Sangiovese utilizzato è più alta, fino ad arrivare ad un minimo del 85%. La restante parte viene addolcita dal Montepulciano. Questo vino, al contrario della sua versione riserva, è giovane. Questa caratteristica aggiunta alla bassa presenza di tannini lo rendono beverino, non troppo pesante ed adatto anche alle calde giornate estive se servito fresco. Gli aromi… Il tripudio perfetto di frutta rossa: lamponi, ciliegia fresca e fragole. Nel retrogusto possiamo percepire una piacevole nota acida. Nel riassunto possiamo definire anche questo vino secco, armonico, caratteristico e delicato. Un prodotto tutto da scoprire indipendentemente dalla stagionalità della vostra visita nelle Marche.
Colli Pesaresi DOC Sangiovese novello: il più piccolo della famiglia Colli Pesaresi DOC Sangiovese. Le uve del vitigno Sangiovese utilizzate sono ad un minimo del 85%. Troviamo anche qui un rosso rubino, sinonimo ancora una volta, viste le caratteristiche principali dei rossi regionali, di sentori floreali e di frutta rossa. Un sapore secco ed armonico, poco alcolico così da poter stappare la bottiglia anche nelle calde e lunghe giornate estive. Grigliate, arrosti, salumi e formaggi di media stagionatura possono considerarsi buoni amici di questo vino vista l’armonia che si crea quando li si mette nella stessa tavola.
Colli Pesaresi DOC Sangiovese riserva: il “nonno” della famiglia nonchè il più vecchio della cerchia Colli Pesaresi DOC Sangiovese. L’invecchiamento proferisce un’interpretazione nuova aggiungendo complessità all’armonia del vino. Degustandolo possiamo notare non solo la ciliegia, l’amarena, la mora, i fiori rosa e la vaniglia speziata, ma anche il cuoio, il tabacco e la cannella oltre a dei sentori lievemente ferrosi e terrosi. Si presenta delicato e morbido al palato anche grazie al calore del vino, successivamente un’esplosione di frutta, spezie e fiori invade la bocca supportata dai tannini e dall’acidità. Tutta l’esperienza viene conclusa da sensazioni terrose e questo spiega la struttura e l’eleganza di questo prodotto. Come abbinare questo “signorotto”? Via libera a grandi portate, piatti untuosi, piccanti, grande selvaggina, arrosti, grigliate e formaggi stagionati. I giovani potranno pure portare freschezza e nuovi germogli insidiandosi nelle solide radici della regione, ma chi meglio degli “anziani”, che hanno costruito tutto ciò di cui ora noi godiamo, può raccontare la storia ed insegnarci ad amare le Marche? Assolutamente nessuno! Vieni a scoprire le emozioni dell’unica regione al plurale ed incomincia il viaggio con un buon bicchiere di vino.
⦁ Colli Pesaresi DOC spumante: il fare sbarazzino di una bollicina convince ad una pausa anche i più frenetici. In questa bottiglia giallo paglierino troviamo delle bollicine fini e persisitenti. Dal sapore delicato e fresco, secco e sapido, saprà convincerti che vale la pena passeggiare e godersi il viaggio piuttosto che correre dietro alla velocità della vita. Questo spumante non lo vediamo solo con i dolci, ma può accompagnarti durante tutto il pasto. Il meglio di sè sa esprimerlo con antipasti ed apertivi.
⦁ Colli Pesaresi DOC Trebbiano: per questo prodotto chiediamo un prestito alla regione limitrofa. Di fatto per realizzare questa bottiglia si utilizzano uve toscane del vitigno Albanella ( Trebbiano toscano) ad un minimo del 85%. Un vino giovane che aggiunge alle note di fiori bianchi e fruttate anche quelle erbacee così come si possono notare dei riflessi verdognoli nel giallo paglierino. Un vino che sa comportarsi all’interno della bocca rimanendo secco, armonico e con una buona sapidità. Provalo con le specialità marinare regionali come le alici a scottadito o il brodetto di pesce.
(H5) VINI DEL BORGO FIORENZUOLA DI FOCARA
⦁ (H6)Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero: il vitigno per questo prodotto non è originario marchigiano, bensì è francese. L’Italia trova comunque modo di coltivare questa tipologia di uve soprattutto nel Friuli, nel Trentino-Alto Adige, nel Veneto, nella Toscana e nella zona Pavese oltre il Po. Si utilizza questo vitigno per produrre eccellenze italiane come il Franciacorta. Le Marche hanno voluto trasformare con il proprio tocco queste uve in un prodotto che possa comunque raccontare le tradizioni e le usanze della regione. Così nasce la categoria “Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero”. La produzione in particolare viene associata e protetta dalla denominazione DOC nella zona di Fiorenzuola di Focara, piccolo borgo medievale, in provincia di Pesaro, che si presenta come uno sperone roccioso a strapiombo del Mar Adriatico. Questo vino marchigiano si mostra delicato, secco ed armonico con un’importante presenza di tannini. Gli aromi sono quelli della piccola frutta rossa. Questo liquido afrodisiaco rosso granato si abbina bene a portate di carne arrosto o grigliata o formaggi di media stagionatura.
⦁ Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero riserva: ecco la risposta per chi non vuole rinunciare alla consumazione di vino rosso invecchiato. L’asticella del disciplinare sulla quantità di uve Pinot Nero si alza: di fatto se nelle altre bottiglie è del 85% minimo, qui la troviamo ad minimo del 90%. Troviamo un rosso granato in una chiave delicata. Le note sono quelle di piccoli frutti rossi, fiori e spezie molto lievi. Gli aromi speziati sono il frutto dell’invecchiamento in botte. Il vino è di buona struttura, persistente ed armonico. Al palato rimane morbido, caldo ed avvolgente. Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero riserva è adatto a grandi portate di carne, selvaggina e formaggi stagionati.
⦁ Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero spumante: delle bollicine fini e persistenti che potranno accompagnarti dall’aperitivo al dolce a fine pasto. Il vitigno utilizzato ad un minimo del 90% è il Pinot Nero. Il colore giallo paglierino tendente al dorato, reso brillante dalle bollicine, nasconde un gusto fresco, secco, sapido e delicato con dei richiami floreali. Uno spumante piacevole che racconta di come le Marche riescono a prendere delle materie prime provenienti anche fuori dalla regione per renderle proprie e trasformarle in pura ricchezza. Vieni e scopri il minuzioso lavoro delle nostre aziende.
⦁ Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero vinificato in bianco: non è inusuale ritrovare in questa bottiglia, color giallo paglierino tendente al dorato, delle note di frutti rossi come mirtilli e ribes, vista la sua lavorazione ottenuta da uve rosse del vitigno Pinot Nero. Quegli aromi vengono contaminati però da fragranze più fresche di frutta dolce come l’albicocca o la pesca. A completare la complessità di questo vino dei cenni di pepe bianco. Questo insieme poi si presenta al palato come un vino piacevole, secco e con buona sapidità. Adatto a portate di pesce di ogni tipo anche se si prediligono i secondi ad i primi piatti.
⦁ Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero vinificato in bianco riserva: all’olfatto caretteristico, piacevole, lievemente fruttato, al palato sapido secco ed armonico. Parliamo di una versione invecchiata della bottiglia “Colli Pesaresi DOC Focara Pinot nero vinificato in bianco”. Questo sicuramente aggiunge complessità al vino regalandogli note più particolari grazie al processo di “riposo” più lungo. Rimane indiscussamente adatto a piatti di pesce come antipasti, griliate, zuppe e brodetti e cotture al forno.
⦁ Colli Pesaresi DOC Focara rosso: la piccola zona di Focara si prende cura del vitigno Pinot Nero dai tempi di Napoleone. Il clima fresco concede ai vigneti uno scenario ideale al fine di crescere nel miglior modo. In questa bottiglia, c’è da dire, però, che il Pinot Nero non è l’unico protagonista, di fatto troviamo anche il Cabernet Franc, il Cabernet Sauvignon e Merlot. Questo ci mostra quanta premura ci sia nella scelta delle materie prime per creare un prodotto di qualità con caratteristiche ben specifiche. Il vino rosso rubino ci lascia sentori della piccola frutta rossa e qualche cenno di rosa. A livello gustativo coerente, buona corposità, i tannini sono presenti,ma non invasivi rendendo la degustazione piacevole ed armonica. Il suo gusto secco lo rende ottimo accompagnato a formaggi dimedia stagionatura, carni grigliate e arrosto.
⦁ Colli Pesaresi DOC Focara rosso riserva: eccoci arrivati all’ultima bottiglia della DOC Focara. Stiamo parlando di un vino che riposa in botti francesi per 12 mesi. Frutti e fiori rossi, ecco cosa racconta questo prodotto. Si presenta con un buon corpo ed un afferrato equilibrio. I tannini presenti rimangono morbidi lasciando essere vino piacevolmente fresco e secco. L’invecchiamento lo rende perfetto per portate di carne anche strutturate, arrosti, grigliate, selvaggina e formaggi stagionati.

VINI DI MONTE SAN BARTOLO

Monte San Bartolo è un promontorio naturale che spezza il litorale adriatico. Il Parco naturale del Monte San Bartolo protegge non solo il promontorio, ma anche colline che emergono tra le sabbiose e strette spiagge marchigiane. La natura ed il clima ci regalano delle Marche tutte da vivere e da assaggiare. Ecco quindi elencati i 4 vini che rappresentano con orgoglio questi territori:
Colli Pesaresi DOC Parco naturale Monte San Bartolo Cabernet sauvignon: le colline del Parco naturale del Monte San Bartolo ospitano il vitigno Cabernet Sauvignon che secondo disciplinare prevede l’85% delle uve totali di questo vino. Tra le pietre preziose presenti nella regione, troviamo anche questa bottiglia rosso rubino. L’olfatto subito potrà notare i frutti rossi maturi e delle note erbacee di foglia di pomodoro. Non si può attendere per degustarlo… e allora morbido, piacevole, sapido e caldo. La struttura è buona ed i tannini sono presenti, ma non invasivi. Il carattere di questo vino, che rispecchia l’appartenenza del Cabernet sauvignon, è forte e deciso. Selvaggina aromattizata, carni rosse e bianche e formaggi stagionati sono perfetti per accompagnare questo vino.
Colli Pesaresi DOC Parco naturale Monte San Bartolo Cabernet sauvignon riserva: il vitigno Cabernet Sauvignon utilizzato ad un minimo del 85% è originario di un dipartimento francese. I marchigiani accolsero questa tipologia di uve e le scoprirono nel periodo della dominazione napoleonica. Presi da questo “obbligo” o “incarico” decisero di rendere questo duro lavoro qualcosa di piacevole, armonico e caldo. Ha una sua complessità, data in parte dal fatto che sia una riserva. Ritroviamo la frutta rossa matura, la marasca (varietà specifica di ciliegia), la ciliegia, le note floreali di viola e geranio ed infine le note speziate di vaniglia, cannella e tabacco. Un vino sicuramente corposo ed elegante come un bel vestito indossato in una grande occasione. In bocca si comporta in modo equilibrato, intenso e persistente. Può definirsi un valido alleato delle grandi portate di carni bianche e rosse e della selvaggina e formaggi stagionati.
Colli Pesaresi DOC Parco naturale Monte San Bartolo Sangiovese: torniamo a giocare in casa con il nostro amato vitigno Sangiovese con un utilizzo minimo del 85%. Oltre al vitigno tornano anche quelle che sono le caratteristiche più forti dei vini regionali. Ritroviamo il colore rosso rubino ed un odore delicato e caratteristico di frutti rossi. Al gusto risulta armonico e secco. Come potersi godere le Marche? Percorrere le colline, passeggiare lungo le spiagge, respirare l’aria fresca delle montagne? Stappa una buona bottiglia di vino come questa e provala con portate di carne arrosto o alla griglia e con formaggi di media stagionatura.
Colli Pesaresi DOC Parco naturale Monte San Bartolo Sangiovese riserva: 85% è la percentuale minima di uve Sangiovese per questo prodotto. Un vino complesso, ideale con grandi portate di carne, selvaggina e grandi formaggi stagionati. I sentori di frutta rossa matura lasciano spazio ance agli aromi di cuoio, tabacco, vaniglia e cannella. Si ritrovano anche dei sentori ematici e terrosi. A differenza di un vino che non ha subito invecchiamento in botte, questa bottiglia sprigiona dei sentori più particolari che parlano di tradizione e delle antiche usanze riportate e rinnovate fino ad oggi. Ottimo se abbinato con secondi piatti untuosi, strutturati, speziati e saporiti.

 

VINI DEL BORGO RONCAGLIA

Colli Pesaresi DOC Roncaglia bianco: questo prodotto racchiude la bellezza di tre vitigni: Pinot Nero, Trebbiano Toscano e Chardonnay. Come adornare al meglio i tuoi menù di pesce? La risposta è questo vino giallo paglierino, limpido e brillante. Un’esplosione delicata di frutta fresca e decise note agrumate oltre che minerali. L’intensa freschezza viene supportata dalla piacevole sapidità che si nota specialmente nella parte finale della degustazione. Questo vino racconta la brezza provieniente dal mare che risale e attraversa i vigneti prendendosi cura delle viti.
⦁ Colli Pesaresi DOC Roncaglia bianco riserva: ritroviamo i tre protagonisti Pinot Nero, Trebbiano Toscano e Chardonnay nella loro ” versione invecchiata”. All’armonia delle note di frutta fresca si aggiungono cenni di frutta secca come ad esempio la nocciola. Si presenta in scena con un sapore delicato, piacevole. Gli antipasti, zuppe e secondi di pesce potranno essere avvolti da un sapore sapido, secco ed armonico.
⦁ Colli Pesaresi DOC Roncaglia Pinot nero: come ci suggerisce il nome, il vitigno utilizzato è il Pinot Nero ad un minimo del 90%. la DOC è stata creata nel 1972 e comprende il sottozona di Roncaglia e rappresenta una delle aree vitivinicole più importanti della regione Marche. Tranquilli, i vostri secondi piatti di carne ed i vostri formaggi di media stagionatura non soffriranno la solitudine se accompagnati da questo piacevole rosso granato. Elegante con il suo delicato carattere, possiamo pensarlo come un bouquet fruttato che volge da sfondo ad un’importante cerimonia. Un valzer degustativo secco e armonico con tannini presenti anche al sapore.
⦁ Colli Pesaresi DOC Roncaglia Pinot nero riserva: il rosso granato di questo vino è il risultato della lavorazione di uve del Pinot Nero ad un minimo del 90%. Possiamo notare una buona struttura ed equilibrio. L’acidità piacevole ma decisa ci accompagna verso un finale dalle note di piccoli frutti rossi. Tra i protagonisti ritroviamo sicuramente l’amarena e la viola. I sentori freschi, grazie al riposo in botte, volgono verso forme più complesse e definite. La quantità dei tannini che si ritrovano nel vino ci portano ad abbinamenti con secondi piatti di carne, formaggi di media stagionatura e risotti.
⦁ Colli Pesaresi DOC Roncaglia Pinot nero vinificato in bianco spumante: la sottozona di Roncaglia aveva bisogno della sua bollicina fine e persistente. Indossare questa catenella giallo dorato / giallo paglierino in una veste di vetro bombato farà sprigionare la freschezza, la sapidità, il sentore di fiori bianchi e l’armonia di una degustazione frizzante. Per tutta la durata di un pasto, o anche con un aperitivo se si volesse giocare in anticipo, potrai scegliere questa bottiglia dal sapore secco ma caratteristico. Lascia che ogni singola bollicina di questo spumante ti sussurri i segreti marchigiani.
⦁ Colli Pesaresi DOC Roncaglia Pinot nero vinificato in bianco: uve del vitigno Pinot Nero ad un minimo del 90%. Avendo vinificato le uve in bianco, possiamo goderci questo vino giallo paglierino intenso. I sentori che concorrono sono quelli di frutti esotici, mandorla verde e sambuco alla quale si aggiungono note sulfuree. Ha una buona presenza alcolica ed in bocca si mostra fresco e accattivante. In questo prodotto dal gusto armonico e secco, la sapidità passa il testimone alla nota amara nella parte finale. Assolutamente da provare con piatti di pesce di tutte le portate e con i risotti. Questa è una corsa di aromi che si può compiere senza versare neanche una goccia di sudore, serve solo la consapevolezza di aver fatto il sacrificio di godersi la vita attraverso un calice.
⦁ Colli Pesaresi DOC Roncaglia Pinot nero vinificato in bianco riserva: eccoci giunti al termine dell’itinerario nel sottozona di Roncaglia. Termineremo con un colore giallo paglierino intenso di un vino invecchiato. La frutta esotica, la mandorla verde ed il sambuco trovano spazio a note più speziate,di fatto possiamo ritrovare anche l’anice stellato. La presenza alcolica è ancora buona, ma del tutto piacevole. Aggiungi alle tue portate di pesce un tocco delicato e caratteristico all’olfatto e sapido, secco ed armonico al palato. Prova questo vino anche con risotti di terra, potresti stupirti del confronto! Non sempre le scelte più ovvie sono quelle più sorprendenti. Questa è una lista che vuole spronare marchigiani e non ad ampliare gli orizzonti verso nuove anche improbabili scoperte. Venite a conoscere a 360 ° la cultura delle Marche e fateci sapere!!

CONERO

Ci prendiamo un minuto per omaggiare il Monte Conero, da secoli custode di meraviglia. Parliamo di questa piccola punta di diamante incastonata che spezza il litorale marchigiano. Il “caput mundi” dei sirolesi, degli anconetani e dei cameranensi che amano esplorare e mettersi in gioco consapevoli che al loro ritorno questo piccolo promontorio di paradiso li accoglierà come una vera e propria madre. Il Monte Conero, la cui forma ricorda un cane che riposa sdraiato, porta sul dorso dolci colline cullate e custodite dalla brezza marina. Questa frescura diventerà poi caratteristica distintiva degli eccellenti prodotti trasformandosi in qualità organolettiche. In questo territorio troviamo il “Parco Naturale del Conero”, uno dei parchi naturali più significativi della regione. Sono mille i percorsi che si possono intraprendere alla scoperta di questo scrigno, dal trekking ad itinerari enogastronomici. Ora vi parleremo di una delle produzioni più importanti del territorio.

ROSSO CONERO DOC: una garanzia della bellezza dei borghi marchigiani. Sia nell’età giovane che in una fase più matura, questa bottiglia sa sprigionare il meglio di sè portando il degustatore in un viaggio verso le radici di appartenenza dei vigneti, ovvero il Monte Conero. Questo prodotto sprigiona una sua complessità. Ritroviamo in modo deciso i frutti rossi all’olfatto che si amplificano poi al palato e notiamo anche delle note speziate. Questa è una visione di una versione giovane con tannicità pungente. Con il passare del tempo queste note così decise cedono il posto ad un’anima più dolce e morbida e la frutta diventa quasi confettura. In generale, però, possiamo dire che, che sia giovane o invecchiato, rimane di buon corpo, asciutto, secco, pulito, elegante nella sua vinosità. Il Rosso Conero è la prova che il territorio del Monte Conero ci regala non solo le uve del Montepulciano ( utilizzate ad un minimo del 85%), ma anche carattere al prodotto. Il fare asciutto e pulito lo dobbiamo in parte all’habitat dei vigneti e questa caratteristica lo rende ideale per carni rosse, salumi, formaggi mediamente stagionati, primi piatti e passatelli. Un promotorio tutto da degustare, un vino tutto da scoprire… Ancora dubbi? Le Marche sono il regalo più grande che puoi farti!

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